Il Fisco può usare le chat di WhatsApp per smascherare contribuenti e stanare evasori: lo stabilisce una recente sentenza.
In un’epoca digitale come la nostra, le piattaforme di messaggistica istantanea si sono allargate praticamente a ogni ambito della vita. Il primo pensiero qui va obbligatoriamente a WhatsApp, la creatura di Meta che indubbiamente è l’app di messaggistica più diffusa al mondo. Se inizialmente ci si “whatsappava” solo per faccende private, adesso questa applicazione è diventata di uso comune anche in campo lavorativo.
Purtroppo però, come capita per ogni innovazione – e le nuove tecnologie non fanno certo eccezioni – questi strumenti possono diventare anche veicolo di affari illeciti. Basti pensare alle numerosissime truffe che viaggiano via app. Ma su WhatsApp possono circolare, perché no?, anche comunicazioni contenenti prove di un’evasione fiscale.
Pensiamo ad esempio a due professionisti che dovessero accordarsi proprio via WhatsApp su come dividersi un compenso in nero ricevuto da un cliente. Poniamo che uno dei due comunichi all’altro di aver ricevuto il denaro senza emettere la fattura. In questo caso, il Fisco potrebbe usare la chat di WhatsApp per smascherare il reato tributario?
WhatsApp, ecco come può diventare l’occhio del Fisco
La risposta a questa domanda è semplicemente sì. La Corte di Cassazione di recente – con la sentenza n. 11607/2024 – ha stabilito che in caso di evasione fiscale le chat di WhatsApp possono essere sottoposte a sequestro. E non è tutto, vediamo perché.
Come noto esistono due tipi di intercettazioni: l’intercettazione telefonica e quella ambientale che riguarda le conversazioni avvenute in un ambiente chiuso. Si tratta di strumenti investigativi intrusivi. A intercettare le conversazioni possono essere la polizia giudiziaria o la Guardia di Finanza, ma solo in presenza di gravi indizi di reato e secondo ben precise disposizioni di legge.
In altre parole solo il pm può disporre le intercettazioni per gravi indizi di reato e per assoluta indispensabilità. Inoltre per poter intercettare una conversazione serve l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, chiamato a valutare la sussistenza delle due condizioni che giustificano la necessità di un’intercettazione telefonica o ambientale. Bene, secondo la Suprema Corte mail, sms e chat tra professionisti possono essere sequestrati senza bisogno di un decreto motivato del giudice e senza nemmeno la presenza di gravi indizi di reato.
In sostanza queste comunicazioni elettroniche, una volta che hanno avuto luogo, sono considerate una “corrispondenza statica“ che non segue le regole sulle intercettazioni telefoniche. L’intercettazione infatti deve avvenire mentre la comunicazione è in corso e va acquisita in maniera occulta, senza che i soggetti coinvolti sappiano di essere intercettati. Ma questo non vale per le comunicazioni digitali che sono già avvenute e sono conservate nei dispositivi elettronici. Davanti alla legge queste vengono considerate come se fossero dei documenti e perciò può scattare il sequestro nel corso di un’indagine.