Il tumore della prostata rappresenta ancora oggi una grande sfida per l’oncologia a livello mondiale. La nuova terapia ha ottimi dati sull’arresto della progressione della malattia
I numeri relativi il cancro alla prostata restano allarmanti in Italia e in tutto il mondo, ma con statistiche rassicuranti sulla sopravvivenza. In particolare, si parla di 40mila nuove diagnosi negli uomini, effettuate soprattutto in soggetti sopra i 50 anni e, ancor di più, in chi ha superato i 65.
È chiaro che, anche in questo caso, i controlli periodici nella popolazione a rischio giochino un ruolo fondamentale, dato che prima viene riconosciuta la neoplasia, prima si può iniziare il percorso di cura e, le possibilità di debellare il grande male, crescono in maniera vertiginosa. Per alcune forme, per fortuna, si arriva anche al 90 per cento di sopravvivenza, ma l’oncologia è costantemente a lavoro, in particolare, per il tumore metastatico della prostata resistente ai farmaci e che abbatte i livelli di testosterone, il tipo che causa ancora problemi più gravi agli uomini – rappresenta il 18,5% dei casi sul totale.
Proprio per questo, il congresso della Società americana di Oncologia si è soffermata a lungo sul tema e ha analizzato varie ricerche che rappresentano una grossa speranza per la cura di questa forma pericolosa del cancro. Sono stati presi a riferimento, in particolare, lo studio TALAPRO-2, pubblicato su ‘The Lancet’ e a cui hanno partecipato anche diversi centri italiani, e un altro lavoro presentato a Chicago, mirato a una terapia innovativa che dà ottimi risultati nell’arresto della progressione del cancro.
Nei lavori a Chicago, si è stabilito ancora una volta che l’enzalutamide resta il trattamento di prima linea per la cura della neoplasia, ma si è parlato tanto anche della combinazione con il PARP inibitore talazoparib. Il mix aumenta in maniera importante la sopravvivenza dei pazienti, senza influire più di tanto sulla loro qualità di vita, che anzi per molti pazienti si è dimostrata buona.
In valori statistici, la progressione della patologia – di conseguenza la possibilità di morte – è ridotta del 37 per cento rispetto al solo trattamento di prima linea. Di conseguenza, la sanità dovrebbe proseguire su questa linea anche per i prossimi anni, permettendo a molti uomini di non cedere nella lotta al cancro.
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