Cosa dice la legge riguardo ai casi di vincite al gioco per i coniugi in comunione dei beni? Vanno condivise le somme vinte? Ecco i dettagli.
Sono casi non proprio unici, ma comunque piuttosto rari: parliamo delle vincite al gioco, come ad esempio al totocalcio oppure al cosiddetto “Gratta e Vinci”. Ed è senz’altro essenziale una premessa: sono attività che rientrano nell’ambito del gioco d’azzardo e che possono condurre a dipendenze comportamentali anche gravi, come la patologia della ludopatia. Per questo motivo occorrono misura e cautela nel partecipare, in modo da non cadere preda ad eccitazione ingovernabile che, come conferma la cronaca, ha portato al lastrico un numero davvero ingente di giocatori, essendo coinvolto il patrimonio personale.
In questo articolo, tuttavia, approfondiamo un altro aspetto del gioco: ovvero i casi in cui ad effettuare una vincita sia un coniuge che condivide i beni con il proprio sposo o la propria sposa. Ebbene, in queste circostanza la legge prevede che la somma vinta si condivida al 50% con il coniuge in comunione dei beni? Oppure che spetti esclusivamente al vincitore?
Sono interrogativi emersi in casi in cui il coniuge che non aveva effettuato la vincita, ha ritenuto corretto e legittimo pretendere la metà della somma incassata proprio a motivo del regime di comunione dei beni entro cui il matrimonio era stato siglato. Per verificare, quindi, la legittimità effettiva della condivisione della vincita, dobbiamo scoprire i dettami legali e giurisprudenziali a riguardo: ecco cosa stabiliscono.
È l’articolo 179 del Codice Civile a disciplinare la materia. In esso sono contenuti i beni personali del coniuge che non costituiscono oggetto della comunione, come ad esempio i beni di cui si era proprietari prima del matrimonio o i beni acquisiti per donazione o per successione per i quali non sia stato esplicitato che debbano rientrare nella comunione matrimoniale.
Ebbene, tra questi non figurano le vincite al gioco o alle scommesse. In altre parole, quindi, se la vincita è avvenuta durante il matrimonio e l’unione ha concordato la comunione dei beni, va per legge condivisa con il coniuge. Dunque, se un coniuge decidesse di spendere l’intera somma per sé, l’altro può legittimamente pretenderre la ricostituzione della comunione, ovvero di ottenere la metà del valore speso, spettante appunto per legge.
Peggio, se il coniuge “prendesse i soldi e scappasse” – quasi come fosse la trama di un film o romanzo – arriverebbe a commettere anche reato, tanto in termini di sottrazione al nucleo famigliare dei mezzi di sostentamento quanto in termini di abbandono del tetto coniugale, stando appunto alle disposizioni del Codice Penale. Ciò detto, è importante ribadire la cautela massima al gioco e l’opportunità di rivolgersi immediatamente ad uno specialista in caso emergessero sintomi, anche lievi, di sopraggiunta dipendenza patologica.
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