Chi ha una Partita Iva deve versare i contributi all’INPS per assicurare la pensione e altre forme di tutela sociale: a quanto ammontano?
Tutti coloro che non sono lavoratori dipendenti vengono definiti lavoratori autonomi. Quest’ultima categoria di lavoratori è solitamente provvista di Partita Iva: in tal modo può svolgere la propria attività versando l’Iva allo Stato e i contributi all’INPS . A differenza di quanto avviene per i lavoratori dipendenti, infatti, i titolari di Partita Iva devono provvedere in autonomia a versare l’IRPEF, ricavandola dalle entrate ottenute dalla propria attività nel corso dell’anno.
Dalle entrate, dunque, si devono togliere le spese per l’Iva, nonché quelle per i contributi. Le prime variano in base al proprio regime fiscale: i forfettari che hanno aperto un’attività da massimo 5 anni versano ad esempio un’Iva agevolata del 5%. Oltre questi 5 anni la percentuale sale al 15%. Chi eccede un reddito annuo di 85mila euro, invece, non può usufruire del regime forfettario e deve versare percentuali maggiori di Iva, dal momento che rientra nel regime ordinario.
Ma se vi dicessimo che la spesa più grande per le Partite Iva non è l’Iva stessa, ma quella per l’INPS? I contributi sono un vero e proprio salasso per i lavoratori autonomi e possono variare in base alla gestione o all’albo di appartenenza. Tutti coloro che non hanno un albo di riferimento possono iscriversi alla cosiddetta Gestione Separata.
In questo caso i contributi da versare corrispondono a poco meno del 27% delle entrate e per la precisione al 26,23%. Gli iscritti alla Gestione Separata non sono tenuti a versare contributi minimi e le loro spese vengono calcolate solo sul reddito annuo effettivo. Facciamo un esempio: un lavoratore iscritto alla Gestione Separata che ha guadagnato 15mila euro durante l’anno dovrà versare il 26,23% delle entrate all’INPS, per una spesa di 3.934,50 euro (e non dimenticate l’Iva, al 5 o al 15%).
Per altre categorie, invece, la situazione è differente e va a gravare ancora di più sulle tasche dei lavoratori. Gli iscritti alla Gestione Commercianti e Artigiani, per esempio, non solo sono tenuti a versare un contributo fisso di 4.427,04 euro per gli artigiani e di 4.515,43 per i commercianti, ma devono anche versare un’aliquota del 24% o del 24,48%, rispettivamente per artigiani e commercianti. Questa percentuale si calcola sul reddito eccedente il minimale annuo di 18.415 euro.
Ma facciamo un esempio pratico. Poniamo il caso di un commerciante che durante l’anno ha incassato 90mila euro. Egli dovrà pagare il contributo fisso di 4.515,43, più il 24,48% del reddito eccedente il minimale, che corrisponde a 71.585 euro. Tolto il 24,48% di questa cifra, corrispondente a circa 17.524 euro, al commerciante resteranno poco meno di 68mila euro netti. In altre parole oltre 20mila euro di contributi, a cui sommare la spesa per l’Iva.
Il pagamento dell’IRPEF e dell’Iva, spesso, mette in difficoltà i lavoratori autonomi che, per definizione, non hanno il privilegio delle tutele solitamente destinate ai lavoratori dipendenti. Gli autonomi, ad esempio, devono prevedere nelle loro entrate anche il pagamento delle ferie, della malattia o della tredicesima, tutti elementi che sono invece previsti nella maggior parte dei contratti dei lavoratori dipendenti.
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