Quali sono le conseguenze in termini di mantenimento se il figlio ha un lavoro precario? Scopriamo cosa dice la Cassazione a riguardo.
È una caratteristica del nostro tempo di cui siamo ben consci: il lavoro precario è una realtà particolarmente diffusa, pressoché per tutte le tipologie di occupazione e per lavoratori di ogni età. Se consideriamo le lavoratrici ed i lavoratori più giovani, inoltre, viene da domandarsi quale sia il rapporto tra l’ottenimento di un contratto a termine ed il mantenimento versato dal genitore mensilmente.
Ebbene, se la figlia o il figlio hanno ottenuto un posto di lavoro temporaneo, il genitore può quindi interrompere il versamento dell’assegno per gli alimenti? In base al diritto, se un figlio maggiorenne è impegnato in un percorso formativo per consolidare le proprie capacità e raggiungere le proprie aspirazioni, oppure se è in cerca di occupazione, allora è giustificato ad essere mantenuto dai genitori.
Tuttavia, quando il figlio accede al mondo del lavoro, pur solo con lavori precari, saltuari o a tempo determinato, il genitore non si trova più in obbligo di corrispondere un assegno mensile di mantenimento. Questo, come confermato in più occasioni dalla giurisprudenza, per lo meno nei casi in cui l’arco di tempo dell’attività che impegna il figlio non è particolarmente breve. Ed anche tenendo conto del fattore età: vediamo cosa significa.
Autosufficienza economica: quando viene raggiunta secondo la giurisprudenza
Anche l’età del figlio influisce sulla giustificazione a continuare o meno a percepire un assegno di mantenimento mensile da parte del genitore: secondo la giurisprudenza, infatti, più ci si avvicina ai 30 anni di età, meno diritto si ha a continuare ad ottenere il supporto economico da parte dei genitori e l’eventuale disoccupazione viene considerata tendenzialmente come una conseguenza di comportamento colpevole del figlio, non in grado di cogliere occasioni lavorative – anche distanti dalle proprie ambizioni – per non gravare sui propri genitori.
Tuttavia, ancora secondo la giurisprudenza, alcune attività lavorative risultano effettivamente insufficienti a garantire il raggiungimento di una piena autosufficienza economica, come quelle con scarsa retribuzione e quelle, come accennavamo, che prevedono una durata del rapporto professionale particolarmente breve.
Dunque il principio cardine stabilito dalla giurisprudenza è che l’autosufficienza economica del figlio maggiorenne deve basarsi sul criterio detto di relatività e sul percorso scolastico: quando, nel caso della relatività, il compenso è adeguato ed il rapporto lavorativo di durata sufficiente, e quando, nel caso accademico, il percorso è finalizzato all’inserimento stabile nel mondo del lavoro, ecco che l’obbligo di mantenimento da parte del padre e della madre viene a cessare.